Se più non fossi viva / quando verranno i pettirossi,
date a quello con la cravatta rossa / per ricordo una briciola.
Se non potessi ringraziarvi / perché immersa nel sonno,
sappiate che mi sforzo / con le mie labbra di granito.
Emily Dickinson
Sono pochi nella vita gli incontri con esseri straordinari e ancora minori le possibilità di condividerne la quotidianità. La prima volta che ho incontrato Collesano ho avvertito – una specie di vibrazione come quella dell’innamorato di fronte all’amato bene – che si trattava di uno di quei rari momenti. Siamo abituati a incasellare l’artista in una serie di cliché, strascico di una cultura romantica-rock che lo dipinge nei migliore dei casi malinconico e nel peggiore dipendente da crack e aspirante suicida. Collesano, al contrario, è pura gioia, levità, grazia e forza. Una forza gentile, mai volgare e allo stesso tempo costante e imperturbabile, come fosse una quercia o un grillo a guardarti, appunto. Da uomo fortunato ho avuto anche il piacere di osservare Collesano durante il processo creativo. Toglietevi dalla mente le mille sigarette fumate, le rughe corrucciate sulla fronte, gli ennesimi tentativi falliti, nulla di tutto ciò. Il suo studio ricorda una piccola bottega di un nobile artigiano di campagna, su di un semplice – per questo straordinario- scrittoio di legno antico trovi solo le sue chine, le sue carte (umide di terra e già, vuote, piene di simboli a venire) e piccole cataste di libri. Ogni specie di musica risuona in quella stanza e mentre disegna (sarebbe meglio dire diventa lui il disegno stesso, come un vecchio bambino-occhi di bambino, occhi di secoli- protagonista di una fiaba forse colorata di verde) sussurra le sue canzoni preferite, dice lui, a me a volte sembrano astruse formule di magici riti dimenticati. Insomma nulla di tragico, tutto è naturale, tutto è istinto. L’ho già detto, lui diventa quello che fa come una leonessa che allatta i suoi cuccioli o come un riccio che ruba le crocchette ai suoi gatti nel giardino, come un animale, appunto.
Perché Collesano disegna animali. Creature. “Bambini di pelo” ama chiamarli con innocenza. Sotto e sopra il mare. I suoi lavori, così minuziosamente cesellati con l’abilità di un miniatore fiammingo, non sono semplici “riproduzioni” come in un bestiario medievale. I suoi lavori celano – silenti segreti di un fondale oceanico – sogni. Nascondono e rivelano il suo mondo, la sua poetica.
Ripetuta all’infinito, disseminata di scacchiere, di chiavi, di balene che volano sopra fari, di meduse che amoreggiano con granchi sospesi nel vuoto, di messaggi in bottiglia trasportati qui e là da un novello Mercurio spesso sotto le spoglie di enigmatico ippocampo. Allora, forse, ecco disvelarsi il dramma, il dolore, la lacerazione dell’artista che noi tanto invochiamo.
Collesano rende agli animali la propria dignità. Li rende partecipi- silenziosi di una lingua perduta (a noi) – del nostro destino. Ci ricorda che Loro osservano le nostre vite, quelle si tragiche, e sembrano ammonirci – sempre con una grazia struggente come il pavone nella neve nella celebre sequenza dell’Amarcord di Fellini – su ciò che abbiamo perduto.
“Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perso in modo estremamente pericoloso il sano intelletto animale: vedano in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice.” (cit. Friedrick Nietzsche) . Collesano, novello Bocklin – suo adorato maestro – con le sue mani, i suoi tratti, i suoi occhi, i suoi sogni e i suoi adorati bambini di pelo, ci regala “quadri per sognare” o, per noi poveri mortali, il suo dramma. Anche se in punta di piedi e col sorriso consapevole di chi ama.
Guglielmo Menconi